T A T O R U S S O in PRIMA DELLA NOTTE ovvero
CHI MI HA UCCISO NEL 2022
concerto-spettacolo di TATO RUSSO
con
INCORPOREA GROUP
Carlotta Bruno – Beatrice Tafuri – Giulio Pesacane
coreografie AURELIO GATTI
scene Peppe Zarbo
costumi Giusi Giustino
musiche Zeno Craig
video e montaggi Maurizio Sansone
luci Roger La Fontaine
regia LIVIO GALASSI
aiutoregia Cosimo Bencivenga – aiutocostumista Paola Radice – elettricista Marco Pepe – macchinista Carlo Battipanni- – attrezzista Teodoro Primo – suggeritore Elio Crudo
grafica Ilenia Fusco – amministrazione Melina Balsamo
organizzazione Renato De Rienzo – distribuzione Gianclaudio Bandista
Tato Russo, regista, drammaturgo, poeta, musicista, attore, talento multiforme della scena drammatica nazionale, è, tra gli esponenti del teatro italiano del dopoguerra, sicuramente tra i primi in assoluto. Per festeggiare i suoi 52 anni di teatro e i suoi 75 anni di vita è stato invitato al festival con un concerto-spettacolo dal titolo molto suggestivo, che, attraverso una lettura molto originale di poesie scelte dalle raccolte finora pubblicate, vorrà essere insieme una confessione e un’esemplificazione della sua poetica a tratti rabbiosa, che qualcuno ha definito Malapoesia, ma che fa di lui un poeta dai canoni espressivi inconsueti e un artista dal personalissimo stile. Lo spettacolo supera l’impostazione del solito concerto di poesie e diventa, nella originale proposta di Tato Russo, una vera e propria piéce teatrale, con una trama avvincente, e quel taglio spettacolare che è proprio della poetica teatrale di Tato Russo. “Prima della notte, ovvero Chi mi ha ucciso nel 2022” di e con Tato Russo è stato commissionato dal CAMPANIA FSTIVAL di NAPOLI, dal FESTIVAL INTERNAZIONALE di VOLTERRA e dal Festival di FERENTO. Lo spettacolo che debutterà il 25 giugno a Napoli al suggestivo Teatro del Bosco di Capodimonte, è una sorta di docufilm sulla vita e sull’ars poetica del maestro, un viaggio sulle ali della eutanasia e del rammarico per non aver capito niente della vita di dolori che ci è stata regalata. Attraverso la musica, la poesia, il teatro, la pittura, la odiata narrativa, lo spettatore sarà calamitato e calpestato da un mare di emozioni turbolente.
Note di regia di Livio Galassi
Con umiltà inconsueta, Tato Russo ritorna all’amore del suo pubblico, proponendo un semplice recital di sue poesie. Immergendo mani e mente nell’oceano dei suoi versi, amorosi, sprezzanti, delicati, aspri, pacati, inquieti, concilianti, polemici e ribelli, con tutte le contraddizioni delle anime complesse, Tato Russo ha voluto costruire, nella sofferta selezione – con minimi raccordi – una trama drammaturgica che si insinua inavvertita e fluisce misteriosa e alternante per infrangersi contro una aspra conclusione, specchio scheggiato dell’immagine che ora il poeta vuole avere di sé. Altri accostamenti di altre sue stesse poesie avrebbero disegnato percorsi diversi, labirinti con altri sbocchi, magari illuminati di costruttiva rinascita, di sfida, di rivincita. Salvata la drammaturgia con una trama da thriller metafisico, resta da salvare la teatralità della rappresentazione: ed ecco allora sei mimi, neutri ectoplasmi che vagolano in scena, muti o mugolanti echi, ora spogli ora ridondanti dei fastosi costumi delle glorie passate, ora mossi a chiarire ciò che è ermetico, ora a rendere ermetico ciò che pare chiaro, spettri che, pur nella loro vaghezza materica, irrobustiscono di teatralità l’evanescenza dei versi. Si confrontano e si sfidano due personalità opposte e contrapposte, che non possono più convivere, e una delle due dovrà soccombere, pur essendo appartenuta allo stesso artista e senza le insofferenze e i traumi odierni. Tato uno, colto, sensibile, innovativo, tormentato da dilemmi esistenziali ed estetici reiterati e irrisolti, come tutti i dilemmi; e Tato due, popolare, estroverso, burlesco, sensuale, esuberante – se non addirittura strafottente – che nella carnalità e negli umori semplici della vita – o perlomeno della giornata – trova partecipazione e appagamento. Via sterili elucubrazioni che non portano a nulla se non all’aggiunta di ulteriori elucubrazioni! Via l’affannosa ricerca di ciò che non si troverà! E sarà Tato secondo a infierire sul primo e a sopprimerlo, cioè a sopprimere la parte “peggiore” di sé, quella intellettuale che dà sofferenza, e a liberarsi, trovando salvezza nella salute del vivere. Sarà così?… Per l’autore di oggi è così. Ma un dubbio mi si insinua: l’abbandono delle complessità intellettuali per una spoliazione nella nuda semplicità dell’esistere, non è forse una scelta intellettuale? E forse intellettualmente la più estrema? E quindi… dunque… allora… non c’è salvezza. E per il delitto non c’è colpa e non c’è condanna: Tato uno sa troppo per essere innocente, e Tato due sa troppo poco per essere colpevole. Dalla confidenza di una trentennale frequentazione consiglio allo stimato artista di continuare a convivere con il suo insofferente doppio: è l’unico modo di riacquistare l’energia troppe volte dissipata.